Anche in responsabilità medica grava sul danneggiato l’onere di provare il nesso causale

Anche in responsabilità medica grava sul danneggiato l’onere di provare il nesso causale
27 Novembre 2018: Anche in responsabilità medica grava sul danneggiato l’onere di provare il nesso causale 27 Novembre 2018

L’ordinanza n. 19204/2018 della Cassazione civile si è occupata della prova del nesso causale in materia di responsabilità medica, riaffermando che “compete al paziente che si assuma danneggiato dimostrare l'esistenza del nesso causale tra la condotta del medico e il danno di cui chiede il risarcimento”.

Infatti, “la previsione dell'art. 1218 c.c…. esonera il creditore dell'obbligazione asseritamente non adempiuta dall'onere di provare la colpa del debitore, ma non da quello di dimostrare il nesso di causa tra la condotta del debitore e il danno”.

Con la conseguenza che “se, al termine dell'istruttoria, non risulti provato il nesso tra condotta ed evento, per essere la causa del danno lamentato dal paziente rimasta incerta, la domanda deve essere rigettata”.

Né in contrario questi può invocare “il principio di vicinanza dell'onere della prova”, richiamandosi a principi enunciati da SS.UU. n. 3533/2001, perché questi non riguardano affatto “il nesso causale”, in merito al quale si deve invece applicare “la distribuzione dell'onus probandi di cui all'art. 2697 c.c.”.

Invero, “tale disposizione, ponendo a carico dell'attore la prova degli elementi costitutivi della propria pretesa, non permette di ritenere che l'asserito danneggiante debba farsi carico della "prova liberatoria" rispetto al nesso di causa”.

A carico del “debitore della prestazione” rimane, quindi, la sola “prova dell'avvenuto adempimento o della correttezza della condotta”, il cui onere è destinato ad operare, quale criterio di giudizio, solo una volta che il suo creditore, e cioè il paziente che si assume danneggiato, abbia offerto la prova che gli compete e, dunque, pure quella del nesso causale anzidetto (sul punto si veda specificamente Cass. civ. n. 2061/2018 e n. 18392/2017).

Proprio per questo motivo, quando la causa del danno rimanga incerta, all’esito dell’istruttoria esperita, tale incertezza nuoce al paziente che si assume danneggiato, e non al medico e/o alla struttura sanitaria, non avendo egli assolto al predetto onere.

L’onere di provare che “l'inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”, posto a carico del debitore della prestazione dall’art. 1218 c.c., attiene alle “cause estintive dell’obbligazione” diverse dall’adempimento che il debitore stesso può invocare una volta che il creditore di quella stessa prestazione abbia provato il nesso di causalità tra il suo inesatto adempimento e il danno di cui domanda il risarcimento.

Per cui tale onere “concerne un «ciclo causale» che è del tutto distinto da quello relativo all'evento dannoso conseguente all'adempimento mancato o inesatto” e non può essere impiegato dal creditore per esonerarsi dall’altro onere che a lui prioritariamente compete.

In tal senso si è espressa la giurisprudenza pressoché costante della Cassazione (nn. 11023/2018, 3704/2018, 29315/2017, 26284/2017 e moltissime altre), salvo qualche precedente, rimasto isolato (ad esempio: n.  18497/2015, 14642/2015).

 

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